TRIBUNALE DI MODENA 
                          Sezione II civile 
 
    Il G.T. sciogliendo la riserva assunta, osserva quanto segue: 
        I. - P. G. , amministratore di sostegno (nominato con decreto
di questo g.t. in data 18 ottobre 2012) della moglie, P. V.  nata  in
... e residente a ... via ..., ha richiesto al  giudice  tutelare  di
poter prestare giuramento per conto della moglie stante  conferimento
della cittadinanza italiana, come da provvedimento  presidenziale  in
data 15 novembre 2016. Dal momento  che  la  stessa  non  sarebbe  in
grado, ne' in condizioni di prestare tale atto, in  quanto  «divenuta
paralizzata, cieca ed incapace di parlare, a seguito del parto». 
    II. - In diritto, va preliminarmente  fornito  un  rapido  quadro
normativo della materia. 
    In base all'art. 9, comma 1, lettera f), della legge  n.  91  del
1992, la cittadinanza italiana puo' essere concessa con  decreto  del
Presidente della  Repubblica,  sentito  il  Consiglio  di  Stato,  su
proposta  del  Ministro  dell'interno,  allo  straniero  che  risiede
legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica. 
    L'art. 10, della cit. legge n. 91 prevede  che:  «il  decreto  di
concessione della cittadinanza non ha effetto se la persona a cui  si
riferisce non presta, entro  sei  mesi  dalla  notifica  del  decreto
medesimo, giuramento di essere fedele alla Repubblica e di  osservare
la Costituzione e le leggi dello Stato», mentre l'art. 23,  comma  1,
legge n. 91/1992 dispone che «le dichiarazioni per  l'acquisto  [...]
della cittadinanza e la prestazione  del  giuramento  previste  dalla
presente legge sono rese all'ufficiale dello stato civile del  comune
dove il dichiarante risiede o intende stabilire la propria residenza,
ovvero,  in  caso  di  residenza  all'estero,  davanti  all'autorita'
diplomatica o consolare del luogo di residenza». 
    A sua volta, l'art. 7, comma  2,  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 12 ottobre 1993, n. 572, dispone che:  «il  giuramento  di
cui all'art. 10 della legge deve essere prestato entro sei mesi dalla
notifica all'intestatario del decreto di cui  agli  articoli  7  e  9
della legge». 
    Infine,  l'art.  25,  comma  1,  decreto  del  Presidente   della
Repubblica 3 novembre 2000, n. 396,  ord.  stato  civile,  stabilisce
che: «l'ufficiale dello stato civile non puo' trascrivere il  decreto
di concessione della cittadinanza se prima non e' stato  prestato  il
giuramento prescritto dall'art. 10, legge 5 febbraio  1992,  n.  91»,
mentre secondo l'art. 27, decreto  del  Presidente  della  Repubblica
cit., «l'acquisto della cittadinanza italiana ha effetto  dal  giorno
successivo a quello in cui e' stato prestato il giuramento, ai  sensi
di quanto disposto dagli articoli 10 e 15, legge 5 febbraio 1992,  n.
91, anche quando la trascrizione del decreto di  concessione  avviene
in data posteriore». 
    Come si  vede,  per  univoche  fonti  normative,  la  prestazione
dell'atto  formale  del   giuramento   viene   ritenuto   adempimento
determinante per l'acquisizione della cittadinanza italiana. 
    In concreto, la dottrina ha sottolineato  che  il  giuramento  e'
sempre stato, in ogni luogo, diretto a «rafforzare una pronunzia  del
giurante». Lo stesso, piu' in particolare, «non e' piu' che la  forma
rafforzata di una promessa, una  solennita'  supplementare  destinata
indubbiamente a far riflettere il giurante sulla  gravita'  dell'atto
che sta compiendo, ma che giuridicamente non lo modifica e  nulla  vi
aggiunge». La portata  di  tale  atto  si  esplica  su  di  un  piano
prevalentemente morale, in quanto «sospinge,  attraverso  un  vincolo
interno, all'osservanza di obblighi e doveri preesistenti», cosicche'
il giuramento non rivestirebbe efficacia costitutiva, ma accessoria. 
    III.  - Il problema  che  il  ricorso  suscita  non  e'  di  poco
momento; esso consiste nel verificare, a fronte  di  persona  che,  a
causa dell'infermita' mentale che l'affligge  non  sia  in  grado  di
prestare il prescritto giuramento, in che  modo  l'ordinamento  debba
reagire e porsi da un punto di  vista  sistematico  e  ricostruttivo,
ricercando se sussista una lacuna normativa, ovvero, un contrasto del
tessuto   normativo   rispetto   ai   parametri   costituzionali   ed
sovranazionali dati. 
    Un primo decreto petroniano (Trib. Bologna  9  gennaio  2009,  in
personaedanno, con nota di Costanzo; in Fam. Pers. Succ., 2009,  664)
ha ritenuto di estendere l'esonero dal giuramento  per  acquisire  la
cittadinanza  affermando  l'applicabilita'   all'amministrazione   di
sostegno, quale effetto ex art. 411 del codice civile, dall'esenzione
dal  giuramento  sulla  scorta  di  parere  favorevole  espresso  dal
Consiglio di Stato con riguardo  la  concessione  della  cittadinanza
all'interdetto  senza  prestazione  di  giuramento,  in  quanto  atto
personalissimo non delegabile al tutore (C.d.S.  13  marzo  1987,  n.
261/85). 
    Altro provvedimento del Tribunale di  Mantova  (Trib.  Mantova  2
dicembre 2010) ha semplicemente  ritenuto  di  esentare  l'interdetto
dalla  prestazione  del  giuramento  necessario   ad   acquisire   la
cittadinanza, non essendo lo stesso delegabile al tutore. 
    V.  - Le  soluzioni  giuridiche  riferite   in   precedenza   non
convincono. 
    Non pare ipotizzabile l'applicazione analogica dell'art. 411  del
codice  civile,che  ammette  di  estendere   all'amministrazione   di
sostegno «determinati effetti, limitazioni o decadenze,  previsti  da
disposizioni  di  legge  per  l'interdetto  o  l'inabilitato».  Nella
specie, e' trasparente che la norma  codicistica  richiamata  ammette
l'estensione  all'amministrazione  di  sostegno  di  disposizioni  di
«legge»; non il contenuto di atti amministrativi, quali sono i pareri
espressi dal C.d.S. in sede consultiva. 
    In vero, le soluzioni della quaestio iuris  possono  essere  due,
alternative l'una all'altra. 
    Da un canto, secondo una prima prospettiva, potrebbe  ipotizzarsi
che il giuramento, supponendo un impegno morale ed una partecipazione
consapevole alla nuova collettivita' statuale da parte del  giurante,
con l'assunzione dello status di cittadino, implichi una sua adesione
consapevole e cosciente al rispetto dei doveri ed  all'esercizio  dei
diritti che, aderendo a tale collettivita', si assumono alla  stregua
della formula di giuramento prevista dalla legge  («giuro  di  essere
fedele alla Repubblica e di osservare  la  Costituzione  e  le  leggi
dello Stato»; art. 10, legge n. 91  del  1992,  la  cui  formulazione
sostanzialmente riproduce  quella  affidata  all'art.  54,  comma  1,
Cost.). In quest'ottica, laddove si richieda  per  il  compimento  di
tale atto formale il  completo  discernimento,  la  cittadinanza  non
potrebbe essere acquisita da parte di chi difetti di  tale  capacita'
naturale, essendo incapace di comprendere  il  significato  morale  e
giuridico dell'atto formale  da  compiere;  l'atto  del  giurare  non
essendo in ogni caso surrogabile da parte del vicario, stante la  sua
natura  personalissima.   E   pertanto   la   cittadinanza,   secondo
l'ordinamento e, secondo  questa  prospettiva,  non  potrebbe  essere
acquisita  dal  disabile  mentale  impossibilitato  a  giurare  ed  a
comprendere l'impegno morale che con tale atto assume di fronte  alla
collettivita'. 
    VI. - Dall'altro, puo' ipotizzarsi l'insorgenza di  questione  di
legittimita' costituzionale delle disposizioni  normative  richiamate
in precedenza (art. 10, legge n.  91  del  1992,  art.  7,  comma  2,
decreto del Presidente della Repubblica n. 572 del 1993, e 25 decreto
del Presidente della Repubblica n. 396  del  2000),  in  particolare,
nella parte in cui le stesse non prevedono deroghe all'obbligo  della
prestazione del giuramento, quale condizione per l'acquisizione della
cittadinanza  italiana,  in  presenza  di  condizioni  personali   di
infermita' mentale in cui versi il futuro  cittadino,  impeditive  il
compimento dell'atto formale in discorso. 
    Da questo punto di vista, dato che, a giudizio della dottrina, il
giuramento,  avendo  natura  ancillare  e  secondaria   rispetto   al
conseguimento della cittadinanza, non avrebbe  efficacia  costitutiva
di essa, potrebbe ritenersi non manifestamente infondata la questione
di   legittimita'   costituzionale   delle   disposizioni   normative
richiamate e  che  impongono  la  prestazione  del  giuramento  quale
condizione per l'acquisizione della cittadinanza, per  violazione  di
piu' di un parametro costituzionale. 
    In  particolare,  se  la  Repubblica  riconosce  e  garantisce  i
«diritti inviolabili dell'uomo» (art. 2  Cost.),  non  permettere  al
disabile psichico l'acquisizione di un diritto fondamentale,  qual'e'
lo status di cittadino (fonte di diritti e doveri pubblicistici), dal
momento che non e' in grado della prestazione dell'atto  formale  del
giuramento, significherebbe, alla  fin  fine,  non  «garantire»  tale
diritto;  escludendo,  cosi',  l'infermo   di   mente   dalla   nuova
collettivita'  in  cui  e'  nato  e  si  e'  formato,  solo  a  causa
dell'impedimento determinato dalla sua condizione psichica di  natura
personale.  L'ostacolo  personale  impedirebbe   l'acquisizione   del
diritto e gli arrecherebbe un considerevole danno. 
    Che dire poi del parametro  affidato  al  capoverso  dell'art.  3
Cost.? 
    Se  e'  compito  della  Repubblica  rimuovere  gli  ostacoli  che
«impediscono il pieno sviluppo della  persona  umana»,  non  si  puo'
forse ritenere che l'impossibilita' di prestazione del giuramento per
acquisire la cittadinanza, determinato  dalla  condizione  patologica
della  persona  affetta  da   malattia   mentale,   non   costituisca
significativo   «ostacolo»   all'esplicazione   della    personalita'
dell'individuo, come tale contrastante con tale  cruciale  previsione
programmatica 
    Se cosi' e', allora,  le  disposizione  normative  in  precedenza
richiamate,  disponenti  che  il  mancato  giuramento  nei  sei  mesi
successivi  alla  notifica   del   decreto   di   concessione   della
cittadinanza ne determina inefficacia, paiono contrastare  anche  con
quest'ultimo  parametro   costituzionale,   creando   disparita'   di
trattamento tra cittadini sani e normali, questi ultimi in  grado  di
prestare giuramento, e quanti sani non siano  in  quanto  affetti  da
disabilita'  e  che,  per  effetto  della  mancata  prestazione   del
giuramento, non possono acquistare lo status civitatis. 
    Tenuto conto di cio', il presente procedimento  va  sospeso,  con
remissione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale,  dato  che   la
questione  di  legittimita'  costituzionale  quivi  sollevata   sugli
articoli 10 della legge 5 febbraio 1992, n. 91,  7  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 572 del 12 ottobre 1993 e 25, comma 1,
decreto del Presidente della Repubblica  3  novembre  2000,  n.  396,
appare rilevante,  in  questo  procedimento  dovendosi  applicare  le
disposizioni  normative  teste  richiamate,  e   non   manifestamente
infondata, alla luce della violazione dei parametri normativi fissati
dagli articoli 2 e 3, 2° comma, Cost. 
    VII. - Il mancato rispetto del  principio  di  uguaglianza  quale
diritto fondamentale dell'individuo va rilevato anche con riferimento
al quadro legislativo sovranazionale, cui l'ordinamento  dello  Stato
e' tenuto a conformarsi. 
    Infatti, l'art. 18 della Convenzione O.N.U. per i  diritti  delle
persone disabili, ratificata dall'Italia con la legge  n.  18  del  3
marzo 2009 (e quindi legge dello Stato a tutti gli effetti),  dispone
che: «il diritto alla cittadinanza non puo' essere negato e dunque  i
disabili hanno il diritto di acquisire e cambiare la  cittadinanza  e
non possono essere privati della stessa  arbitrariamente  o  a  causa
della loro disabilita'». 
    Lo scopo  della  Convenzione  e'  quella  di  indurre  gli  Stati
firmatari a promuovere, proteggere e garantire  il  pieno  ed  uguale
godimento di tutti i diritti umani  e  le  liberta'  fondamentali  da
parte delle persone con disabilita'.  La  condizione  di  disabilita'
viene individuata nell'esistenza di  barriere  di  diversa  natura  e
tipologia che possano ostacolare la piena ed effettiva partecipazione
nella societa', in condizioni di uguaglianza con gli  altri,  per  le
persone che presentano delle durature menomazioni  fisiche,  mentali,
intellettuali o sensoriali. 
    Il testo normativo richiama la Convenzione  europea  dei  diritti
dell'uomo ed e' dotato di portata universale, dato che si  rivolge  a
tutte le persone disabili, indipendentemente  dalla  nazionalita',  e
alle quali garantisce il diritto ad un livello di vita adeguato e  il
diritto alla protezione  sociale,  rievocando  i  principi  enunciati
anche dalla  Dichiarazione  O.N.U.  dei  diritti  delle  persone  con
ritardo mentale del 1971,  della  Dichiarazione  O.N.U.  dei  diritti
delle  persone  con  disabilita'  del   1975,   degli   articoli   21
(«Nell'ambito d'applicazione del trattato che istituisce la Comunita'
europea e del  trattato  sull'Unione  europea  e'  vietata  qualsiasi
discriminazione  fondata   sulla   cittadinanza,   fatte   salve   le
disposizioni  particolari  contenute  nei  trattati  stessi»)  e   26
(«L'Unione  riconosce  e  rispetta  il  diritto   dei   disabili   di
beneficiare di misure intese a garantirne l'autonomia,  l'inserimento
sociale  e  professionale  e  la  partecipazione  alla   vita   della
comunita'») della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione  europea
di Nizza, resa vincolante dal Trattato di Lisbona del 2009. 
    Si  evince,  pertanto,  che  l'Unione  e'  fondata  sul  rispetto
dell'uguaglianza della dignita' umana, della democrazia, dello  stato
di diritto e del rispetto dei diritti umani compresi quelli enunciati
dall'art. 67 del Trattato sul funzionamento  dell'Unione  europea  in
base ai quali «l'Unione realizza uno spazio di liberta', sicurezza  e
giustizia nel rispetto dei diritti fondamentali nonche'  dei  diversi
ordinamenti giuridici e delle  diverse  tradizioni  giuridiche  degli
Stati membri». 
    Da tali principi dell'ordinamento si ricava  che  la  tutela  dei
diritti umani nell'Unione europea  non  dipende  dal  possesso  della
cittadinanza dell'Unione, che va riconosciuta anche ai  cittadini  di
paesi terzi. Sotto questo profilo si e' avviato il passaggio  da  una
fase  improntata  alla  salvaguardia  dei   diritti   dei   cittadini
dell'Unione ad una nuova fase caratterizzata anche dalla tutela della
persona in quanto  tale.  Il  punto  cruciale  riguarda  il  rapporto
intercorrente tra l'iniziativa dell'amministratore ed i  bisogni,  le
aspirazioni, gli interessi del beneficiario  straniero  ed  incapace;
nell'ipotesi di totale nonche' effettiva  incapacita'  di  formazione
della volonta' consapevole da  parte  dello  straniero  disabile,  la
privazione  tout  court  della  capacita'  di  agire   nell'esercizio
dell'acquisto della cittadinanza (in quanto atto personalissimo, come
tale  non  delegabile  in  via  surrogatoria  all'amministratore   di
sostegno),  appare  criticabile  almeno  per  un  duplice  ordine  di
ragioni:  in  primis,  tale  impostazione  lederebbe   la   legittima
aspettativa dello straniero a vedersi  riconosciuta  la  cittadinanza
italiana, stante il ricorso dei  requisiti  oggettivi  fissati  dalla
legge; in secundis,  si  affaccerebbe  il  rischio,  di  lasciare  lo
straniero isolato da quella trama di relazioni di cui, ai fini  dello
status civitatis, costituisce il principale centro di imputazione  di
interessi. 
    Come si vede, quindi, anche da questo punto di vista,  si  dubita
della legittimita' costituzionale della  trama  normativa  costituita
dalle disposizioni che impongono  al  disabile,  impossibilitato  per
effetto  della  patologia  mentale  che   l'affligge,   di   prestare
giuramento, quale presupposto di acquisto  della  cittadinanza.  Pare
trasparente che l'attuale normativa, che impone il giuramento  a  chi
non e' in grado di pronunziarlo e di  coglierne  il  significato,  si
ponga in termini discriminatori per  il  disabile  nell'accesso  allo
status di cittadino dello Stato. 
    Senza dire, infine, che,  a  questo  riguardo,  la  normativa  in
oggetto pare  pure  contrastare  con  un'ulteriore  previsione  della
Convenzione ONU sui diritti delle  persone  con  disabilita',  e,  in
particolare, con l'art. 4, par. 1, lettera b, della stessa, la  quale
obbliga gli Stati membri ad adottare «tutte le misure, incluse quelle
legislative,  idonee  a  modificare  o  abrogare  qualsiasi  legge  o
regolamento,  consuetudine  e   pratica   vigente   che   costituisca
discriminazione nel confronti di persone con disabilita'».